Uccidete la Tigre Bianca – 8 – Notte dal Drago Pigro

L’orologio sul cruscotto del taxi segna le 2:15 mentre percorriamo le strade vuote e silenziose del quartiere più povero della città. Dal momento che la probabilità di trovare uomini della Ukus ad aspettarmi sulla porta di casa era del 99% ho chiesto a Wang di portarci in un luogo sicuro, un posto dove poter passare la notte tranquilli. Lui senza starci troppo a pensare ha ingranato la marcia esclamando – Da mio zio Chung! Pensione del Drago Pigro, voi conosce?
– No, mai sentita.
– Ecco, appunto. Posto sicuro. Pochi conoscono!
Alla domanda su come faccia ad andare avanti un hotel che nessuno conosce, mi ha spiegato che in realtà questo fantomatico Drago Pigro non è una vera e propria pensione ma più un ex ristorante cinese che prima era un ex motel e prima ancora ex sala da gioco clandestina. E che ora è un po’ tutte le tre cose insieme.

Per evitare di dare nell’occhio stiamo passando attraverso la Nuova Santa Croce, il quartiere più degradato di tutta New Rome e anche l’unico a portare ancora una nome cristiano. So che i poliziotti tra di loro lo chiamano “la favela” ed il motivo per cui non compare mai nelle classifiche delle zone a rischio è perché nessuno conosce esattamente la cifra degli omicidi che vengono commessi ogni giorno. A differenza del distretto a luci rosse dove lavoro, e che spesso Rhonda definisce “l’inferno” per le tinte e il caos che lo caratterizza, qui tutto sembra spento, deserto, morto. Guardo dal finestrino gli appartamenti bui degli anonimi complessi residenziali, immaginando i segreti che contengono. Una delle ultime notizie di cronaca riguardava una famiglia africana a cui avevano trovato pezzi di esseri umani nel frigorifero. Probabilmente un ritorno a qualche forma cannibalismo o  culto bizzarro…
Usciamo sulla tangenziale ovest, quella che porta all’autostrada. Dopo qualche chilometro Wang svolta in una stradina nascosta e si ferma nel cortile sul retro di un vecchio casolare in mattoni. Nessuna indicazione che faccia pensare ad un hotel o ad un ristorante, ad eccezione di una piccola insegna al neon con un drago luminoso che sembra rimediata da addobbi natalizi cinesi. Capelli-Turchini è ancora nel mondo dei sogni per cui lo tiriamo fuori dal taxi e lo portiamo a braccia fino ad una camera al primo piano.

Dopo aver fatto stendere il babyfake chiedo a Wang qualcosa per tamponargli la botta sulla fronte e lui mi fa segno di seguirlo al piano di sotto. Scendiamo le scale ed entriamo in una piccola sala da pranzo. Sul divano, una signora che ha tutto l’aspetto di essere sua zia sta guardando un film in bianco e nero con Fred Astarie da un vecchio tv a tubo catodico. Poco distanti, seduti al tavolo, un signore pelato sulla sessantina e uno più giovane con folte sopracciglia stanno giocando a qualcosa che sembra una versione cinese della dama.
Mentre mi chiedo quale dei due sia lo zio Chung, il mio naso non può fare a meno di sentire l’odore di cibo rimasto nell’aria, probabilmente ancora della cena di capodanno, e mi rendo conto di avere un buco allo stomaco grande come una caverna.
– Senti Wang… – chiedo a bassa voce per non disturbare la quiete casalinga – non avresti un po’ di pane? Qualcosa da mettere sotto i denti.
Lui mette la mano avanti come a dire “aspetta”. Va a sussurrare qualcosa alla signora davanti alla tv, si volta, mi fa un segno positivo e dopo avermi messo in mano panni e asciugamani mi risponde sorridente – Tu ora va in camera a curare ragazzino e riposare, noi rimedia qualcosa per Tigre Bianca affamata.

La “stanza per gli ospiti importanti”, così mi è stata descritta, è composta da un letto, un grande divano vestito di coperte colorate e un basso tavolino rotondo davanti ad una credenza con tv, stereo portatile, piatti di porcellana, gatti di porcellana ed altri soprammobili di famiglia.
Il livido sulla fronte di Capelli-Turchini ha assunto quel colore violaceo che conosco molto bene. Sistemo i panni umidi sulla ferita e penso che questa volta, appena si sveglia non lo lascerò andare finché non mi avrà dato delle spiegazioni.

Passata mezz’ora sono alla finestra ad osservare la campagna silenziosa che ci circonda. Continuo a ripensare alla serata, a Rhonda. Mi chiedo dove l’abbiano portata, se stia bene. Mi secca quasi ammetterlo ma sono terribilmente preoccupata per lei. In fin dei conti è il mio unico contatto con la società… e forse anche la mia sola amica in questo mondo di merda.
Sto pensando che non ho neanche il telefono per mandarle un messaggio quando la porta si spalanca di colpo: Wang è finalmente arrivato a portarmi del cibo e da una prima occhiata non si tratta di qualche pezzo di pane avanzato. Come un equilibrista, il piccolo cinese sta sorreggendo un gigantesco vassoio pieno di piatti e piattini coperti. Resto immobile, sorpresa per qualche secondo. Lui lo appoggia delicatamente sul tavolino e mi fa segno di servirmi.
Mi siedo per terra e sollevo un coperchio incuriosita: un eccezionale aroma di maiale in agrodolce si espande nell’aria. Afferro le bacchette in un lampo e ne assaggio subito un boccone. La carne, morbida e succosa, ha un sapore strepitoso: è senza dubbio il maiale in agrodolce più buono che abbia mai mangiato.
– Oddio, è delizioso… – sospiro mentre sul volto di Wang si disegna una sorriso soddisfatto.
Con la bocca piena scopro un’altra portata: spaghetti di riso saltati con gamberi, curry e verdure. Poi un’altra: ravioli di carne al vapore. Un’altra ancora: pollo con bambù e funghi. E ancora: anatra piccante con cipolle e peperoni.
Grazie Wang. Ti devo un favore.

Sono nel bel mezzo della cena quando inizio a sentirmi degli occhi puntati addosso. Alzo la testa e vedo i parenti di Wang osservarmi compiaciuti da dietro la porta. Dai loro sguardi non è difficile intuire che il tassista abbia rivelato loro la mia identità, e infatti, appena si rendono conto di essere stati scoperti, il tizio pelato (lo zio Chung), si avvicina a mostrarmi una foto sul telefono. Nel piccolo schermo ci sono io, in piedi, circondata da fotografi mentre sto alzando una cintura d’oro al cielo. I capelli color platino, il sorriso fiero e lo sguardo di chi si sente padrona del proprio destino. Sette anni fa. La mia vita prima della squalifica. Quando l’Hell’s Kitchen non sapevo neanche cosa fosse e il futuro sembrava più luminoso che mai.
Passo il resto della cena a ripercorrere tutti i momenti più importanti: il K.O. alla prima ripresa contro la campionessa americana Christie Connors, la vittoria sofferta al dodicesimo contro la temibile tailandese Davika Horwang e sopratutto il sesto round con Vanessa Sanchez, in cui l’intero team della combattente portoricana getta la spugna e invade il ring per cercare di fermarmi. Quest’ultimo episodio in particolare suscita un entusiasmo tale che sono costretta a raccontarlo due volte.

Un’ora più tardi sto uscendo dal bagno in accappatoio dopo essermi fatta finalmente una doccia ed aver lavato via una serata di sangue, fogne e sudore. La zia di Wang, che scopro chiamarsi Liu, mi consegna dei vestiti puliti, delle coperte e un vecchio smartphone di marca coreana. Ha saputo che sono senza ed è andata a recuperarne uno nello scantinato. Dice che ha un po’ di anni ma dovrebbe funzionare ancora.
Mi sistemo al caldo sul divano, mi connetto alla rete e faccio il login sul messenger.
Un messaggio non letto. Rhonda.
“Dal momento che il tuo telefono è ancora qui queste parole probabilmente saranno utili come un culo senza buco. Ad ogni modo, batti un colpo se sei viva.”
Sorrido e tiro un lungo respiro di sollievo.
Le scrivo:“Ho appena mangiato il maiale in agrodolce più buono della mia vita. Appena hai una sera libera devi prendere Abu e venire qui dal Drago Pigro.”
Dopo neanche un minuto mi arriva la risposta: “Dal Drago Pigro?? Mi stai prendendo per il culo? Senti Tigre, non ho tempo per le cazzate, ascoltami bene: 1. non tornare a casa per nessun motivo e resta nascosta dove sei finché non te lo dico io. 2. ho appena saputo che ci sono due uomini della Ukus che non vedono l’ora di rivederti, uno in rianimazione senza una mano e l’altro a letto senza i testicoli. 3. l’incidente con La Vipera non è stata colpa tua. Per ora non posso dirti altro.”
Bella scoperta, questo lo sapevo anch’io.
Passa qualche secondo e mi arriva un altro messaggio: “E… Alex, quando ti sei infilata in quel cazzo di cunicolo pericolante per scappare dai sovietici mi hai fatto cagare addosso. Sono contenta che sei viva. Felice anno nuovo di merda.”
Le rispondo con una faccina : – ) e mi distendo sul divano.
Felice anno nuovo di merda anche a te.

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