Rehab – Confessioni di una sadica (sull’orlo dell’esaurimento nervoso) #13: Tica

Durante la nostra prima seduta le ho detto che non ho mai conosciuto una persona che mi abbia fatto sentire davvero inferiore. Per la quale abbia provato un qualche, che so, timore reverenziale, o che mi abbia anche minimamente intimidito. Beh dottore, dal momento che questo è uno dei nostri ultimi incontri, dal momento che ci stiamo avvicinando alla fine, sento il bisogno di essere sincera fino in fondo, di dirle tutta la verità. E la verità dottore è che le cose non stanno proprio così.
Effettivamente c’è stata una volta. E’ successo un po’ di anni fa.
Vede, questo è un fatto molto personale, che conosce soltanto la mia amica Sara, quella che chiamiamo La Contessa, una storia lunga e che detesto condividere, perché vorrei rimanesse soltanto dentro di me, che fosse solo mia.
Lei davvero vuole che gliela racconti?
La avverto che devo partire dall’inizio però. Precisamente da quell’ottobre del 2018 in cui mi trovavo con Sara a Yokohama, in Giappone, il giorno del suo compleanno. Ma non eravamo lì per shopping o regali, eravamo lì per vedere la finale del campionato mondiale di volley femminile: Italia contro Serbia. In realtà dottore a me della pallavolo non è mai fregato nulla ma Sara ci teneva tanto a vedere dal vivo le sue beniamine e dato che pagava lei, il dover sopportare due ore di partita era un sacrificio tutto sommato accettabile per poter poi fare un salto nella mia amata Tokyo.
La Contessa però aveva un secondo piano, un asso nella manica. A settembre, durante una delle sue feste ricchissime per gente ricchissima, aveva conosciuto un addetto ai lavori che le avrebbe permesso di infiltrarsi ed incontrare le azzurre per strappare quante più strette di mano, foto ed autografi riuscisse a strappare. E così, alla sera dell’evento, noi evitiamo l’ingresso principale e ci intrufoliamo nel retro del palazzetto insieme a postazioni di tecnici ed emittenti internazionali. Lei tira fuori l’iphone e si mette a trafficare per contattare il suo gancio mentre io mi accendo una sigaretta dietro un furgone di un’emittente televisiva turca. C’è qualcosa di elettrico nell’aria, nella serata, e guardando i fasci di luce che si estendono al di là del palazzetto si ha come l’impressione che tutto il Sol Levante sia in piedi, con gli occhi puntati sull’evento. Non faccio neanche in tempo a rilassarmi che Sara mi prende per mano e in un batter d’occhio ecco che siamo dentro, in un corridoio stretto dalle pareti di cemento a guardarci intorno come due agenti segreti. Ci sono uomini, per lo più giapponesi, che vanno e vengono ma, fortunatamente, nessuno sembra badare alla nostra presenza. Sara al quel punto mi chiede di aspettarla che prova ad andare a raggiungere il suo contatto misterioso e così inizio a cercare iphone e auricolari per imboscarmi da qualche parte ad ascoltare un po’ di musica.
Ed è a questo punto dottore che accade qualcosa.
Non ricordo esattamente come, so soltanto che mentre sto frugando a testa bassa qualcuno mi sbatte contro facendomi volare via la borsa con tutto il contenuto. Come al rallentatore vedo l’iphone volteggiare nell’aria, planare e poi schiantarsi al suolo, rigorosamente a faccia in giù con lo schermo sul pavimento di cemento. Lancio un’imprecazione a denti stretti maledicendo tutti i santi in ordine alfabetico ma quando abbasso lo sguardo vedo che la persona con cui mi sono scontrata si è già chinata per raccogliermelo. Lo gira per controllare che lo schermo sia tutto intatto e, grazie a dio, lo è ancora. Tiro un respiro di sollievo, prendo il telefono dalle sue mani, alzo lo sguardo per ringraziare. Davanti a me c’è una ragazza, dalla pelle bianca e dai capelli neri. Alta, altissima, addirittura più alta di me. Dottore ha presente tutte quelle le volte che le dico che le persone non riescono più a sorprendermi, che mi sembra di aver visto già tutto, di conoscere ogni cosa, ogni faccia e bla bla bla? Ecco, questa ragazza aveva un viso che non avevo mai visto prima. Era come un paesaggio sconosciuto. Capisce cosa intendo? C’era qualcosa in lei, in quegli occhi, in quella bocca, in quel volto così diverso. Aveva un che di alieno e affascinante, di misterioso e ancestrale, di dolce ed enigmatico, di minaccioso e sensuale, emanava un’aura che non avevo mai provato e il suo sguardo era così profondo da potermici perdere dentro. Mi ha guardata negli occhi ed io ho sentito le ginocchia tremare.

A quel punto tutto diventa una nebbia, il mio cuore inizia a battere come se fosse impazzito, il tempo si dilata ed io resto lì come una ebete, paralizzata col telefono in mano. Poi sento la voce di Sara, che improvvisamente si è di nuovo materializzata accanto a me.
– Ma che fai, amicizia col nemico? – mi accusa divertita guardando la sconosciuta allontanarsi nel corridoio –  Il nemico? – rispondo meccanicamente senza quasi rendermene conto. Sara mi scruta cercando di intercettare le mie pupille perse nel vuoto – Alex, lo sai chi è quella?
No, non lo so. A dir la verità non so più neanche dove sono e come mi chiamo. 

Venti minuti più tardi non so come ma abbiamo raggiunto i nostri posti e siamo finalmente pronte per l’inizio della finale. Sara è infuriata perché alla fine il suo gancio per incontrare le ragazze si è rivelato (come sempre) un buco nell’acqua mentre io sono in totale black out cerebrale. Talmente in black out che non ho neanche collegato il fatto che una ragazza di oltre un metro e novanta incontrata nei corridoi di un palazzetto prima di una partita di pallavolo possa essere una pallavolista e così, appena le squadre entrano in campo ed io la vedo spuntare tra le file della Serbia con il numero 18 sulla maglia, sento il cuore che mi salta in gola.
A quel punto la partita ha inizio e pare essere una di quelle avvincenti ma io non posso rendermene conto perché non riesco a staccare gli occhi da questa ragazza. E’ la stella della serata, la più forte di tutte, io la guardo muoversi sul campo ed è talmente bella che mi viene da piangere.
Intanto la partita prosegue ed è sempre più tesa, tanto che Sara non si rende neanche conto del mio stato catatonico. Soltanto alla fine del quinto set, quello della nostra sconfitta, dopo aver urlato la sua rabbia si volta verso di me preoccupata – Alex, hai gli occhi lucidi… va tutto bene?

Qualche ora più tardi sono seduta al tavolo di un izakaya con  vista alla città, dove abbiamo prenotato, e sto aspettando che Sara torni dal bagno per ordinare. Davanti a me c’è il menù, aperto da almeno 10 minuti, ma in verità io sto ancora pensando a lei, a quella ragazza aliena che con uno sguardo mi ha fatto perdere la testa in quel corridoio. Senza pensare prendo un tovagliolo e ci scrivo sopra il suo nome. Tijana. Lo osservo e non posso fare a meno di sentirmi così felice, così vulnerabile, mentre gli occhi mi si bagnano di nuovo per l’emozione.
– Eccomi… – nel frattempo Sara è tornata con una bottiglia di champagne in mano – …cosa ne dici se prima del sushi beviamo un po’ di… – poi butta l’occhio sul tovagliolo tra le mie dita e si interrompe. Posa la bottiglia, si china per leggere e mi fa uno sguardo interrogativo come a dire “e questo che significa?”
Mi asciugo gli occhi e le sorrido – Niente. E’ solo che… questa sera credo di essermi innamorata.

A Tijana Bošković

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