Pubblicherò di tanto in tanto in questa sezione chiamata Frammenti alcuni episodi dal mio Diario di una Stronza, antecedenti agli episodi di C’era una volta una Stronza in Canadà e pubblicati un anno fa.
In coda per entrare al [XXXXX] io e Giorgia ci aggiustiamo i capelli spettinati dalla pioggia. Siamo qui per la festa di Susy, una nostra amica di cui in realtà ci importa poco ma a quanto pare ha prenotato dei tavoli nella zona V.I.P. e questa è un’occasione che non possiamo lasciarci scappare.
Giorgia ha un vestito corto nero, sandali con tacco neri, smalto nero, rossetto viola e capelli che alla fine ha deciso di raccogliere lasciando libero qualche ciuffo davanti. Se non la conosceste potreste scambiarla per una dai gusti vagamente goth.
I miei capelli invece stanno bene anche un po’ spettinati e quindi ho deciso di non perdere altro tempo a sistemarli, ho delle scarpe con tacco rosse di vernice e un vestito rosso assolutamente proibitivo a meno che non siate anche voi delle bionde di un metro e ottanta con il viso di Nastassja Kinski e 151 di QI.
Osservo la fiumana di persone in coda, molti hanno la faccia di gente che non ha passato le selezioni di un reality show e dico che è affascinante l’energia, il tempo e i soldi che spendono per tutto questo nonostante quello che li aspetta. Certo, alcuni se la spasseranno ma per gli altri sarà solo l’ennesima interminabile collezione di umiliazioni prima di tornare a casa in bianco. Voglio dire, sono anni che vengono qui, che puntualmente va male eppure insistono. C’è qualcosa di profondamente perverso in tutto questo…
Giorgia si guarda intorno con quell’espressione pensosa da cartone animato
– Beh, è un po’ come per il capitalismo no? –
La scruto curiosa, lei prosegue
– Un sistema che conviene solo ad una minoranza di persone che viene accettato dalla maggioranza grazie alla promessa che, se si impegnano abbastanza, forse un giorno ne faranno parte anche loro.
Così – prosegue – probabilmente questi posti attirano orde di sfigati a inseguire il miraggio di… rimediare una scopata? –
Sì, penso, magari proprio nei bagni, con una modella ubriaca e facile da conquistare, come hanno sentito dire che è successo quella volta all’amico dell’amico dell’amico… Episodi, avvenuti o meno non ha importanza, che vanno a lubrificare sogni e fantasie di chi non se le potrà mai permettere, come una banconota da 100 sventolata davanti a un barbone.
Guardo Giorgia con un sorriso di ammirazione per la brillante intuizione che lei ricambia con lo sguardo compiaciuto del – vedi che anch’io riesco a sorprenderti se voglio – Poi il suo volto si fa scuro – Ehi un momento. – mi guarda preoccupata – Cosa sono questi discorsi da centro sociale? Non staremo mica diventando comuniste? –
Scoppio a ridere di gusto e intanto il gorilla alla sicurezza ci fa passare e, finalmente, entriamo.
Mentre ci avviciniamo alla sezione V.I.P. per raggiungere i nostri amici un tipo tutto sudato con una faccia da briatore che potrebbe avere l’età di mio padre – Ehi ragazze – cercando di fare il brillante – ho appena scommesso con un mio amico che siete due modelle – indica un altro come lui ad un tavolo poco distante, – No – rispondo calma – siamo due pazienti appena fuggite da un manicomio criminale. Io per cannibalismo, cucinavo spiedini di carne di suora, mentre lei… – con la coda dell’occhio vedo il terror panico dipingersi negli occhi di Giorgia che ha già capito il mio giochino e mi sta maledicendo – lei faceva esplodere cuccioli di labrador mettendoli nel microonde. –
– Cazzo le onde! – risponde il tipo – Patite di surf? Grandi ragazze, a dopo! – e mentre sparisce, Giorgia mi lancia un’occhiata come a dire – Anche stavolta ti è andata bene (e comunque ti odio!) –
Pensa ovviamente che il tipo non abbia capito ed è proprio qui che si sbaglia. Ha capito benissimo, o almeno, una parte del suo cervello ha capito, ma le persone qui dentro sentono solo quello che vogliono sentire.
Mi avvicino al bancone – Vorrei una sparachiodi elettrica per torturare dei gattini – il barista – Vodka martini? Arriva subito!
Guardo Giorgia con un sorriso divertito mentre mi sento Pat Bateman in American Psycho. Lei si limita a scuotere la testa rassegnata.
Sono le 4 e mezza e nel bagno privato dove siamo entrate di nascosto io sto facendo pipì mentre Giorgia aspetta il suo turno bloccando la porta. Siamo entrambe abbastanza ubriache, lei ha bevuto 2 mojito più qualche shot mentre io ho bevuto un vodka martini, un vodka lemon e svariati shot. Giorgia sta cantando Wonderwall degli Oasis ma con la pronuncia inglese di Berlusconi quando parlava con Bush, che le viene piuttosto bene, facendomi ridere e complicandomi la situazione. Sto per dirle di smetterla quando vengo interrotta da un colpo alle sue spalle. Lei sbarra gli occhi ma prima di riuscire a dire qualcosa un secondo colpo, più forte, spalanca la porta spingendola via. Io mi alzo d’istinto mentre due tizi entrano nel bagno, ma non sono della sicurezza, sono due che avevo già visto prima. Ci avevano osservate per tutto il tempo, uno mi aveva anche avvicinata in modo piuttosto squallido e io gli avevo risposto qualcosa in stile Esorcista tipo – Tua madre succhia cazzi all’inferno – . Dalle facce mi rendo conto che non sembrano italiani, si direbbero più dell’est europa. Il primo, che si ferma alla porta, è grosso con la faccia cubica e lo guardo impassibile mentre il secondo, che viene avanzando verso di noi, ha i capelli lunghi ingellati all’indietro e un’inquietante cicatrice sulla guancia. Il tipo ci guarda, si guarda intorno a controllare la stanza, e poi torna su di noi – Ok, via le mutandine. Tutte e due – indicandoci. Noi prendiamo subito coscienza dell’incubo in cui siamo appena capitate e restiamo di colpo impietrite, in silenzio. Lui innervosito tira fuori dalla tasca un coltello a serramanico e lo fa scattare – Ho detto toglietevi ste cazzo di mutandine! – si volta verso Giorgia e le fa passare il coltello davanti agli occhi – Hai capito quello che ho detto? –
Giorgia deglutisce, ha gli occhi lucidi e io vedo le sue ginocchia tremare mentre da sotto la gonna le sue cosce iniziano a bagnarsi fino a gocciolare. Il tipo si volta ridendo verso il suo compare – Hai visto, la piccoletta se l’è già fatta addosso! –
Poi si volta verso di me – E tu cosa aspetti? – mi punta il coltello alla gola – Cos’è che hai detto prima su mia madre? Voglio che lo ripeti. Ripetilo adesso, cosa c’è, non parli più? –
La paura dentro di me raggiunge quel livello critico per cui scatta qualcosa che mi fa reagire e senza neanche rendermene conto tiro una ginocchiata che finisce in mezzo alle gambe del mio aggressore. Lui si accascia in ginocchio ma solo per qualche secondo perché in un attimo è di nuovo in piedi, più incazzato di prima. Si fionda contro di me afferrandomi per il collo e spingendomi la testa contro il muro. Giorgia lancia un urlo, il tipo mi passa il coltello contro la guancia
– Io ti ammazzo, hai capito?! Te la taglio tutta questa faccia da stronza! Mi hai sentito puttana?! –
Chiudo gli occhi terrorizzata mentre penso – è finita – e per una frazione di secondo mi arriva l’immagine della notizia sul giornale di domani.
– Io ti ammazzo! Io ti… – improvvisamente sento la mano del tipo che allenta la presa, apro gli occhi e vedo che il suo compare gli sta facendo un segnale. I due scappano via come faine e in un battito di palpebre io e Giorgia siamo di nuovo sole, a guardarci sbigottite, senza dire una parola. Il silenzio viene presto interrotto dall’entrata di uno della sicurezza – Ragazze non potete stare qui. Questo bagno è… – si ferma di colpo perché capisce dalle nostre facce che è successo qualcosa di grave.
Alle 5:30 stiamo tornando a casa con Susy. Sui sedili davanti stanno ancora commentando l’accaduto mentre io e Giorgia siamo accasciate dietro, esauste, ubriache, distrutte. Giorgia fortunatamente si è ripresa dallo shock e adesso sta dormendo, con la testa appoggiata sulle mie gambe, io guardo le luci sfocate e confuse della città dal finestrino bagnato mentre alla radio Dave Gahan canta Enjoy the Silence.
Mentre i pensieri lentamente iniziano a riordinarsi nella mia testa un turbamento sta crescendo piano piano: non riesco a fare a meno di pensare a come sarebbe andata se i due tipi non fossero stati interrotti. E’ assurdo ma c’è una parte del mio cervello che vuole immaginarsi la scena con tutti i suoi morbosi dettagli. Penso a Giorgia piegata in avanti, immobilizzata con le braccia dietro la schiena, i seni che le escono dal vestito strappato, senza una scarpa, con il trucco sbavato dalle lacrime e il moccio che dal naso le cola sulle labbra spaccate e sanguinanti mentre, brutalmente sodomizzata, singhiozza – Basta vi prego! Mi fa male! Mi fa male! –
E un brivido mi attraversa il corpo. Un misto di paura, eccitazione e qualcos’altro di sconosciuto. La mia migliore amica ha rischiato di essere violentata e io mi sto bagnando a fantasticarci sopra? Non mi sono mai sentita così eccitata e sporca e sbagliata. Con un fremito, come a volermi scrollare di dosso questa sensazione, mi raddrizzo sul sedile cercando di tornare alla lucidità.
Guardo il viso stanco e dolce di Giorgia che dorme e un sentimento di affetto e calore mi riporta alla tranquillità. Mi chino per abbracciarla, mentre, come una ninna nanna, seguo le parole della canzone.
All I ever wanted
All I ever needed
is here in my arms